Ha dato la vita per un sogno
Nella liturgia del Venerdì Santo siamo soliti rompere il silenzio della contemplazione con la processione del legno, dopo di che adoriamo l’Appeso al legno. Poi raduniamo, davanti a lui, il mondo intero nella preghiera universale, perché Lui non è morto per molti, ma per la moltitudine, ossia per tutti. E poi, dopo i canti, ritornerà il silenzio.
Stare in silenzio, come le donne che l’avevano seguito, e contemplare. Ora sanno dove andava il loro Maestro e Signore, dove lo portava quella sua passione per Dio e per l’umanità, per la terra. Ora lo sai. È l’ora dello svelamento. Si è rotto il velo del tempio, il velo che sembrava scavare un fossato tra noi e Dio, tra la classe sacerdotale e il popolo di Dio, tra una religione e un’altra, tra sacro e profano. Perché Dio è appeso al legno, in un luogo pubblico, fuori dei recinti sacri, fuori dalla città, fuori da ogni appartenenza. Appartiene a tutti. Ora sai. Ora sai chi è Dio. Non è l’indifferente che guarda a occhi asciutti dal cielo. È il Dio appeso alla croce, per la passione per noi umani.
Secondo Luca la Croce è lo spettacolo, l’evento da guardare, lo spettacolo che svela l’inconsistenza, il vuoto pauroso di un’infinità di nostri spettacoli: vi leggi fin dove arriva la passione di un Dio. Non si è tirato indietro. I discepoli avevano tentato a più riprese di tirarlo indietro, di moderarlo. Perché la croce non è un caso, non è per caso che l’abbiano crocifisso. Più vai avanti nella lettura del Vangelo e più senti l’aria di un’opposizione dura crescere: il Rabbì di Nàzaret metteva al centro Dio, metteva al centro l’uomo, con la sua parola liberava da sudditanze antiche, da pregiudizi inveterati, da istituzioni oppressive, dalle ipocrisie di sempre, dava la parola a chi non l’aveva mai avuta, dava occhi a chi era ritenuto cieco, faceva camminare quelli che erano stati immobilizzati. Uno così era pericoloso.
Minava, sì, minava le fondamenta del loro potere, che si fondava sulla religione della paura, la paura di un Dio despota, mentre lui parlava di un Dio Padre. Un potere, il loro, che si fondava sull’immagine di un’umanità divisa in gerarchie, mentre lui parlava di fraternità; si fondava sulla centralità del tempio, mentre lui parlava della centralità dello spirito; si fondava sulla priorità della legge, mentre lui parlava della priorità dell’uomo. Questo era il regno che predicava, il regno cui aveva dato inizio, era come un germoglio seminato nella terra. Aveva dato la vita per quel sogno, pagando il sogno con la sua stessa vita. «Muoio per questo sogno»: è scritto sulla Croce.
Angelo Casati
(Tratto da: A. Casati, Storie di donne e di profumi, Centro Ambrosiano)