Quando una donna lo fece sognare
Una donna incrocia il cammino della nostra Quaresima. Benedetto l’incontro. E benedetto chi dei due – lei o Gesù? – l’ha raccontato. Così il racconto ha trovato ospitalità nel Vangelo. Ebbene nella narrazione mi sembra che siano alluse immagini della fede: la loro bellezza mi seduce, e, nel sedurmi, lascia un insegnamento prezioso per i miei passi. Prezioso. E su queste immagini vorrei indugiare. Chissà quante volte – mi dicevo leggendo – chissà quante volte la donna aveva fatto quella strada dalla città al pozzo e dal pozzo alla città. E l’acqua – diceva bene Gesù – non le toglieva la sete per sempre. E chissà quante volte su quella strada si sarà lasciata prendere da pensieri. Perché, al contrario di quello che qualcuno potrebbe pensare – anche nella Chiesa purtroppo! – le donne hanno un pensiero. C’è – per grazia – un pensiero femminile. Per fortuna meno apodittico, meno rigido, meno prepotente di quello maschile, perché curvato sulla vita. Se leggi attentamente il racconto, tra riga e riga scopri questo pensiero. Che alla fine incanta anche Gesù. La donna del pozzo e i suoi pensieri. Confesso che, leggendo, mi bussava un pensiero: chissà quante volte la donna di Samaria, donna delle domande, nell’andare avanti e indietro, in quel silenzio, si sarà interrogata sulla sua storia (poi troverà in Gesù chi la rimanderà a quella storia). Dico la storia dei suoi amori, un’altra sete mai sedata, un camminare verso il pozzo di un amore e un ritornare in sete. Come se la sete non le si fosse placata nel cuore. Avanti e poi indietro da un amore. Le era rimasta la sete. Sete d’acqua e sete di vivere. Si era sentita usata.
Quello era un giorno come tanti altri e, mai e poi mai, avrebbe pensato che non sarebbe stato un giorno come tanti altri e che quel giorno le avrebbe riservato una sorpresa, la sorpresa delle sorprese. Perché Dio – perdonate il verbo – si infila nel corso delle cose più ordinarie, più concrete, più umane: si infilò nel suo andare per acqua. Ecco la cosa su cui vorrei indugiare: la cosa che sempre mi colpisce è l’aria che respira nel racconto. Prima ancora delle parole. Che non hanno nulla di una istruzione catechistica. Prima ancora c’è come un guardarsi, c’è come l’entrare dell’uno nell’anima dell’altra e viceversa. Si accende una sensibilità, c’è una percezione di bellezza, si sfiora l’intimità. E già quel chiedere l’acqua a una donna samaritana è come aprire una fessura. I passi della fede nascono da questo sentire, non dalle nozioni, ma dalle emozioni. E pericolo devastante sarebbe che questo sentire andasse impallidendo, che mancasse l’aria del pozzo.
E mentre ringrazio Gesù che si è seduto stanco al mio pozzo, mi sto chiedendo, se in giorni devastati dalle paure come i nostri, non sia possibile diventare uomini e donne del pozzo, e, al di là della fatica che facciamo, cogliere l’opportunità di creare l’aria di quel pozzo, quello di Sicar, e dirci vicinanze, e raccontarci storie e disseppellire acque, noi che in altre ore, per fretta o per disamore, abbiamo disertato i pozzi degli incontri. E donarci gli uni gli altri non parole che chiudono, ma il timbro della voce, perché è il timbro della voce che crea o no la vicinanza. Di cui abbiamo, anche di questi tempi, sete.
Angelo Casati