Che il deserto torni giardino
L’immagine della sorgente è ampiamente biblica e aiuta a mettere in luce altri aspetti dell’esperienza della preghiera. Mi richiama alla mente un breve racconto, una storiella, che non fa parte della tradizione biblica e che narra di un beduino che attraversa il deserto guidando un missionario. Devono attraversare il deserto infuocato ed è mezzogiorno, quando il sole picchia forte. Il beduino si ferma, scende dal cammello, si sdraia per terra, sulla sabbia, vi appoggia l’orecchio e rimane lì, un minuto, cinque minuti, dieci minuti. Il missionario attende impaziente. Finalmente il beduino si rialza, risale sul cammello e riparte. Alla sera, al bivacco intorno al fuoco, il missionario non riesce a trattenere la curiosità: «Che cosa stavi facendo oggi, quando ti sei sdraiato?». Il beduino lo guarda e risponde: «Amico, ascoltavo il deserto. Il deserto piange. Piange perché vorrebbe essere giardino».
Ognuno di noi porta dentro di sé dei deserti, luoghi calpestati dalla vita, regioni interiori che sono morte, che piangono perché vorrebbero tornare a essere giardino. Ecco, l’immagine della sorgente ha a che fare con quelle parti di noi che si sono spente alla vita, calpestate, distrutte.
Quando vuole descrivere ciò che è essenziale, il Libro del Siracide lo fa attraverso quattro elementi: «Quattro sono le cose fondamentali per la vita: l’acqua, il pane, il vestito, una casa per custodire la propria intimità» (Siracide 29,21). Acqua, pane, vestito, casa e la prima è sempre l’acqua: senz’acqua non si vive a lungo, lo sappiamo. Nella Bibbia il rapporto con l’acqua diventa immagine dell’intimità con Dio: «Senza di Te – dice il salmista – se Tu non mi parli, io sono come uno che scende nella fossa» (cfr. Salmo 28,1), come uno che muore di sete: «Io sono come il deserto, Tu sei la rugiada, senza di Te io sono deserto».
Paolo Alliata