Giustizia, il saggio di Lucia Castellano, Dirigente Generale dell’Amministrazione Penitenziaria, rilegge il tema in stretta relazione con la questione dei diritti e della salvaguardia della dignità di ciascun uomo, secondo il dettame costituzionale. Il saggio di In dialogo (80 pagine, euro 7,50) da pochissimi giorni in libreria fa parte della collana “Parole per capire, ascoltare, capirsi”
Parlare di giustizia è impresa complicata, perché è complicato definirne il senso. La giustizia non è un concetto descrittivo: non si può affermare, in assoluto, che una determinata azione è giusta, se non in relazione a uno standard determinato di giustizia: e gli standard cambiano con il cambiare della storia, delle culture, dell’impianto valoriale di un popolo.
Far coincidere il rispetto formale delle regole con la giustizia sostanziale è stato lo scopo del mio impegno professionale per vent’anni. Avevo la netta percezione di lavorare in un luogo in cui l’obiettivo istituzionale (rieducare, appunto, allontanare dal crimine) fosse in netto contrasto con quello che si consuma all’interno degli istituti di pena: far soffrire. […] Per cercare di rendere il carcere un luogo in cui si esercita la giustizia ho lavorato su tre piani: in primo luogo, lasciando agli ospiti la più ampia libertà di autodeterminazione possibile, nell’organizzazione della propria giornata. In seconda battuta, cercando una contaminazione costante tra il carcere e la città esterna, che devono essere in relazione tra loro, come vasi comunicanti. […] Terzo punto del mio impegno: il portone del carcere deve essere metaforicamente percepito dai propri abitanti come semiaperto, i reclusi devono potersi riappropriare con le proprie mani della libertà, saperla costruire (attraverso la gradualità delle misure alternative alla detenzione) perché sia definitiva e responsabile. L’essere identificati con il proprio reato, esclusi e deprivati è un percorso che fa sentire vittime (quando non lo si è), mentre la responsabilità verso le proprie azioni rende liberi.
Per questi motivi credo che in nessun luogo come nel carcere la giustizia formale, il rispetto delle regole, dovrebbero coincidere con la giustizia sostanziale. L’obiettivo di ogni buon amministratore penitenziario dovrebbe essere quello di rendere il carcere un luogo vero, credibile, che produca libertà. […]
Se non si può dare una definizione di giustizia che non sia legata a valori, culture e tradizioni cangianti nel corso della storia, si può ancorare, in tutti i sistemi e i campi dell’azione pubblica, il concetto al valore della persona, all’attenzione al rispetto dei suoi diritti e all’eliminazione delle diseguaglianze, che comportano qualità della vita così differente tra una persona e l’altra, tra un popolo e l’altro. Questo è oggi, a mio parere, il senso della giustizia sostanziale.