Giovedì santo (3)

L'ultima Cena, segno della comunione perfetta

17 Aprile 2025

Senza tradire la memoria

Ci ha consegnato una Cena. E noi ogni anno a ricordarlo: prima di andarsene ci ha consegnato una Cena e ci ha detto: «Fate questo in memoria di me». Fate questa Cena. Fate questo in memoria di me. È questo che è bello fare, nel suo nome. A volte penso a quante cose facciamo dicendo che sono nel suo nome, nella sua memoria. Ma lo saranno veramente? Ne dubito. Dubito che tutte siano fatte nel suo nome. La Cena invece, sì: ce l’ha consegnata lui. E noi a riconsegnarcela di mani in mani, fino a oggi, di generazione in generazione.

La cena del Giovedì Santo custodisce la memoria di quell’ultima Cena di Gesù. Di mani in mani fino a noi: ora è nelle nostre mani. Forse la nostra cena ha perso qualcosa di quell’ultima Cena di Gesù. Una cena che, quand’anche non fosse stata quella pasquale, era senz’altro cena nel ricordo della Pasqua, cena attorno a un tavolo, cena in cui si veglia, accendendo le luci, cantando salmi, benedicendo, mangiando erbe amare, agnello, pani azzimi, bevendo alle coppe, facendo memoria delle grandi opere di Dio. La preghiera che accompagnava la prima coppa diceva: «Dobbiamo lodare, cantare, glorificare, onorare, esaltare, rendere grazie, benedire, inneggiare, proclamare colui che ha fatto, per noi e per i nostri padri, tutti questi segni. Egli ci ha tratto dalla schiavitù per la libertà, dalla tristezza per la gioia, dal lutto per un giorno di letizia, dalle tenebre per una grande luce, dalla schiavitù per la liberazione. E noi diremo davanti a lui: Alleluia».

Ebbene, dentro questa cena di benedizione, forse proprio quando sulla tavola veniva riportato un pezzo grande di pane che era stato nascosto – simbolo del Messia che si nasconde, nascosto e atteso –, forse proprio allora Gesù prendendo in mano quel pane e spezzandolo disse: «Questo sono io». Anch’io, come il mio popolo, dall’Egitto vado a Gerusalemme, anch’io berrò il calice amaro dell’afflizione, ma poi sarò liberato. E questa cena, questa cena in cui abitano le memorie dei padri, questa cena sarà abitata dalla mia memoria, dalla memoria di un’altra liberazione, quella del Figlio dell’uomo consegnato nelle mani dei peccatori, ma poi strappato per sempre alla morte. È il mistero che celebreremo in questi giorni e trova il suo preludio nella cena che apre il triduo pasquale. Dobbiamo lodare, cantare, benedire Dio e proclamare Colui che ha fatto per noi e per i nostri padri questo segno.

Fate questo in memoria di me. Fatelo senza tradire la memoria. Già lo diceva, ammonendo, l’apostolo Paolo nella Lettera ai Corinzi (1Cor 11,23-26): senza tradire la memoria. La tradiamo ogni volta che celebriamo l’eucaristia con il cuore meschino di Giona, ogni volta che celebriamo l’eucaristia – celebriamo la dismisura, la follia dell’amore – con la nostra piccineria. Senza tradire la memoria… è suggestivo pensare che l’evangelista Giovanni di quella cena non ha ricordato le parole di benedizione sul pane e sul vino, ma ha ricordato un gesto – questo lo aveva colpito –: il gesto del Signore che lava i piedi ai discepoli.

Angelo Casati

(Tratto da: A. Casati, Storie di donne e di profumi, Centro Ambrosiano)

Libro collegato

Bolognesi Elena
Centro Ambrosiano

 16,15

Con lo stile della Lectio divina, il libro offre un ricco cammino di riflessione per il tempo della Quaresima e della Pasqua. Le omelie intense di don Casati fanno riflettere sull’uomo e sul tempo presente, con una capacità sorprendente di evitare i luoghi comuni e innalzare lo sguardo al vero senso della vita e della rivelazione pasquale. Preziose pagine utili alla preghiera e alla meditazione personale – di laici e preti – che attingono sempre alla ricchezza e alle provocazioni del testo biblico e dei Vangeli. Ed io a chiedermi se anche oggi Gesù, il Vivente, non debba essere raccontato per voce di donne, con il loro profumo, con una porta che si apre quando fuori è ancora buio ed è luna piena nel silenzio del cielo.
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