Venerdì santo (4)

Meditazione del cardinal Martini al Getsemani (Gerusalemme)

17 Aprile 2025

La sofferta penetrazione del mistero della storia attraverso le Scritture

Tutto il racconto della passione è pieno di misteri, di enigmi, di oscurità; è come un cielo in tempesta, con tuoni, lampi, fulmini che spaventano. Ma la parola per me più drammatica è quella che conclude il racconto evangelico, quando Gesù grida con voce forte: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). Ogni volta che la risentiamo, siamo presi da un brivido perché, tolta dal contesto, potrebbe sembrare l’invocazione di un disperato, di uno che ha perso la fede, che è stato travolto dalle vicende avverse. Eppure è proprio ascoltando questa parola che il centurione esclama: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!».

Ovviamente l’evangelista legge in quel grido di Gesù la fedeltà di Dio. Cercando, allora, di penetrare nel mistero del «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», vorrei far notare che, dal capitolo 14 dell’evangelista Marco, Gesù parla gradatamente sempre meno. Il Gesù della Galilea, dei grandi discorsi, del Discorso della montagna, del discorso missionario, il Gesù delle lunghe dispute con i giudei che ci è presentato soprattutto da Giovanni, dei detti pungenti, dopo il Getsèmani entra a poco a poco nel più profondo silenzio. Una delle ultime parole da lui pronunciate è quella con cui si rivolge a coloro che sono venuti per prenderlo: «Si adempiano dunque le Scritture!» (Mc 14,49). Darà ancora solo brevissime risposte alle domande che gli vengono poste.

Si ha così l’impressione che Gesù si chiuda in se stesso, quasi come stupito, sconvolto dal diluvio di calunnie, di malvagità, di interpretazioni perverse, di crudeltà che si scatenano contro di lui. È come se si chiudesse in se stesso per accogliere questo mistero di iniquità e per macerarlo dentro di sé per l’umanità. È dopo il lungo silenzio di fronte agli accusatori di ogni tipo, di fronte ai maltrattamenti e alle ingiustizie che Gesù, nel momento della morte, esce con il grido: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». È la parola di qualcuno che, avendo interiorizzato tutte le delusioni, le amarezze e i dolori del mondo, avendo sentito cadere sulla sua persona tutto il mistero della sofferenza e avendo cercato una ragione, un senso per questo terribile mistero, trova finalmente nelle Scritture la parola-chiave, il versetto che interpreta il suo vissuto, il salmo che spiega tutto: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Anche se in apparenza ogni cosa si rivolge contro di me e sono come abbandonato da Dio, questo era già scritto, è parte del mistero di Dio, delle Scritture, e dunque non può non manifestare quell’amore misericordioso del Padre che nelle Scritture è stato rivelato.

Mi sembra così di leggere in questa parola il grido di colui che, proprio al limite della più nera disperazione, ha trovato il significato di quanto sta vivendo nelle Scritture e nella volontà del Padre, volontà di amore e di salvezza.

Carlo Maria Martini

(Tratto da: C. M. Martini, Verso Gerusalemme, Centro Ambrosiano)

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Gerusalemme, così come la Bibbia la presenta, è luogo di riunione di tutti i popoli, simbolo universale della pace nel mondo. Per questo, è stata di sovente al centro degli interventi pubblici e degli scritti del cardinale Carlo Maria Martini, sino alla scelta di trasferirsi nella Città santa, che vide come meta definitiva di un cammino spirituale. Oggi, davanti all’attuale clima di lacerazione e conflitto israelo-palestinese, ripercorrere le riflessioni del Cardinale è ancora più significativo, per approfondire la storia passata di quei luoghi, per intravedere un futuro possibile, per lasciarsi interpellare da una lettura biblico-sapienziale che ha come unico obbiettivo ricordare i valori forti che appartengono all’umanità e di cui il mondo ha ora più che mai bisogno. Non ci sarà pace sul pianeta finché non ci sarà pace in Gerusalemme: intercedere e impegnarsi là per la giustizia e per la pace significa lavorare a beneficio del mondo intero. (altro…)
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